Il volto erotico della fotografia digitale.
Parla Andrea Simoncini GibsonNormali, come vi vedo io
Normali, come vi vedo io
di Virginia Marchione
Andrea Simoncini Gibson fotografa e reinterpreta corpi nudi e soggetti normali attraverso il digitale. Ma l’erotismo non è il punto.Fluffer ha intervistato l’artista italo-inglese, che trasforma e deforma per svelare ciò che non si vede.
Da artigiano ad artista digitale: spiegaci questo tuo interessante percorso. «La mia formazione inizia come designer dopo essermi laureato in Inghilterra in design industriale e di arredi. Dopo alcuni anni di esperienze lavorative nel settore sentii la necessità di essere più direttamente coinvolto nel processo creativo, per cui cominciai a disegnare e produrre le mie linee di gioielli artistici in bronzo e ottone, utilizzando il processo della fusione a cera persa. Questo mi portò successivamente a creare le mie prime sculture di veneri e dee madri primitive utilizzando sempre la stessa tecnica. Al tempo facevo anche tanti disegni e quando cominciai con la fotografia il mio gusto di quello che volevo ritrarre era già piuttosto formato, era solo una questione di tempo per abituarmi alla nuova tecnica digitale/fotografica per poter arrivare a produrre i lavori attuali».
A guardare le tue immagini si è subito incuriositi dal gioco di sproporzioni che metterai in atto nella figura seguente e in quella dopo: insomma lo spettatore è inglobato in un voyeurismo continuo, un alternarsi di repulsione e attrazione verso bizzarri umanoidi. Lo fai per demolire i canoni estetici contemporanei, ridicolizzarli, o niente di tutto questo? «Una parte del mio lavoro adesso si concentra sul mostrare quegli aspetti del corpo che lo rendono unico ma allo stesso tempo anche normale. Sono appunto queste particolarità e caratteristiche che a volte vengono nascoste perché giudicate non in linea con i canoni estetici attuali e sono queste caratteristiche che mi interessa proporre nelle immagini più recenti. Questo viene fatto attraverso un lavoro di isolamento dei dettagli e loro trasformazione per portarli in primo piano, facendo emergere quello che spesso viene invece nascosto. Si crea così un’immagine della persona ritratta come la si potrebbe avere quando questa è da sola e non in posa davanti all’obbiettivo».
Lo specchio che deforma, nella letteratura e nella pittura di tutto il mondo, ha rappresentato il medium di una realtà parallela e alternativa, un’illusione irreale e affascinante ma anche una satira grottesca della realtà. Cosa devono riflettere i protagonisti delle tue fotografie? «Alla base del mio lavoro attuale c’è l’interpretazione del corpo femminile in chiave espressiva. Quando fotografo una persona, cerco di far emergere dell’emotività, del sentimento, dell’emozione e allo stesso tempo cerco anche di far si che il soggetto possa riflettere ed esprimere quello che vedo io in lui. Successivamente, in fase di elaborazione digitale, le qualità espressive che sono state fotografate vengono decontestualizzate e nuovamente assemblate e reinterpretate secondo altri criteri».
Le tue sono “foto pitture digitali” : come prende vita ciascuna opera e quanto dura la sua realizzazione?«Per preparare la base di ogni lavoro faccio una serie di fotografie, ma queste in realtà sono solo il punto di partenza e per i lavori più complessi, dove sono necessarie dettagliate post produzioni, ho bisogno di una o due settimane per creare un’immagine ad alta risoluzione da stampare in grande formato».
Qual’è la tua idea di erotismo? «La mia idea di cosa possa essere l’erotismo o se i ritratti che creo vengano definiti erotici o meno non è per me il punto. Alla base c’è il mio interesse a creare delle immagini che possano generare impressioni e sensazioni forti in chi le guarda. Ad esempio, potrei usare la nudità assieme a un’espressività fuori contesto o anche ad altri elementi non particolarmente congruenti e tutto questo potrebbe generare perplessità nell’osservatore nel suo tentativo di venirne a capo; allo stesso tempo però potrebbe anche esserne incuriosito e attirato mentre cerca di definire meglio le sensazioni che gli vengono suscitate nel guardare l’immagine».
Chi sono i modelli e le modelle delle fotografie? «Alcuni dei lavori che faccio sono degli autoritratti per cui sono presente io come soggetto. Per i ritratti sul quale mi sto concentrando adesso lavoro anche con persone non abituate a posare come modelle, una delle cose principali e necessarie è la loro curiosità di vedersi interpretate e trasformate nei miei lavori».
Dopo la tua mostra personale Homunculus a Roma nella galleria Mondo Bizzarro, hai esposto in una doppia personale alla galleria Plaumann di Milano. Cos’ha in serbo Andrea S.Gibson per il 2015? «Ho in corso una nuova collezione di immagini che mi terrà occupato fino a verso metà 2015 dopo di che il resto è ancora tutto da decidere e meravigliosamente incerto e misterioso!».
A quali artisti guardi con maggior interesse (nel tuo e in altri ambiti)? «Sono interessato principalmente al lavoro di pittori (e in alcuni casi anche scultori e illustratori) alcuni esempi: Albrecht Dürer, Lucas Cranach il Vecchio e Lucas Cranach il Giovane, El Greco, Marc Chagall, Egon Schiele, Otto Dix, George Grosz, Pierre Molinier, Hans Bellmer, Lucian Freud e anche alcuni artisti del movimento Pop surrealista per dirne solo alcuni».
Sei mai stato censurato? «Mi auto censuro io se pubblico del materiale ad esempio su portali web dove le immagini di nudo non sono previste. Per questo a volte posso anche creare delle immagini in doppia versione, la versione censurata identica all’originale salvo il fatto che per coprire gli elementi di nudità viene inserito un piccolo indumento o qualche altro stratagemma analogo».
Ti è mai capitato che la tecnologia diventasse, invece, un limite per le tue opere? «Nell’ambito della fotografia classica questo potrebbe costituire un limite, ma lavorando più come artista digitale lo vedo solo come un vantaggio».